Quando pensiamo al concetto di rischio ambientale, e conseguente danno ambientale, l’immagine associata è il disastro, un evento nefasto che accade ad aziende di dimensioni rilevanti e che provoca danni economici incalcolabili.
Ebbene, il rischio ambientale è statisticamente sottovalutato dalla maggioranza imprenditori, i quali tendono a dare priorità ai tristemente noti rischi legati alla salute e sicurezza sul lavoro, che, con l’introduzione del D.Lgs. 231/2001 e s.m.i. hanno creato non pochi ulteriori grattacapi ai Datori di lavoro e alle funzioni responsabili, a livello operativo, di garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel caso dei reati di cui all’art. 25 septies del Decreto citato infatti, qualsiasi azione (sia dolosa che colposa) che comporti l’infortunio grave o gravissimo (dai 40 giorni di prognosi) o in extrema ratio, la morte del lavoratore, aprirà la strada ad un contenzioso ai sensi della normativa 231, con pesanti sanzioni sia pecuniarie che interdittive per l’Azienda. Quindi il Giudice prenderà in considerazione tutte le azioni (dalla mancata formazione, al mancato utilizzo dei DPI, o al tentativo di risparmiare in uno o entrambi questi ambiti) per eventualmente condannare la Società coinvolta, la quale dovrà provare di aver fatto tutto il possibile per scongiurare tale evento.
Sostanzialmente quindi, nel caso dei reati in materia di salute e sicurezza si parlerà di condotta libera nella commissione del reato, mentre i reati ambientali possono essere commessi attraverso le condotte previste dalle fattispecie di reato di cui all’art. 25 undecies, e che vanno dal disastro ambientale agli scarichi delle navi, passando per la gestione dei rifiuti e delle emissioni in atmosfera.
Ecco dunque che nei casi menzionati, ogni azienda, anche di dimensioni ridotte, potrà trovarsi ad affrontare un lungo e oneroso contenzioso, “solo” per aver sottovalutato un adempimento, o un rischio ambientale, magari anche noto (un serbatoio interrato dimenticato soggetto a corrosione, un punto di emissione mai autorizzato, un magazzino che in realtà è un deposito temporaneo di rifiuti), ma trattato come un problema da risolvere “più in là”.
Nello specifico, il rischio ambientale, può tradursi in un evento inquinante imprevisto, e che può comportare delle spese di messa in sicurezza o bonifica al fine di ripristinare lo status quo ante.
Per rendere l’idea del tipo di impegno economico a cui si potrebbe andare incontro basti pensare che le Società assicurative hanno calcolato che circa il 95% dei sinistri è costato meno di 300.000 euro, mentre il 5% tra i 300.000 e i 5 milioni di euro e che la durata media assicurativa di gestione di questo tipo di sinistri non risolve prima dei 2-4 anni.
Cos’è, dunque, un danno ambientale?
E’ un deterioramento significativo e misurabile, che comporta alterazione delle matrici ambientali, un danno al terreno per esempio, pensiamo ai rifiuti interrati, che può creare un danno alla salute umana. Non solo i grandi eventi (si pensi al Disastro di Seveso, o a Fukushima) ma anche una cisterna che perde, o una cantina che perde vino, il quale sversato nel terreno, nel sottosuolo e poi nella falda acquifera, altera il corso d’acqua a causa sostanze zuccherine, non nocive di per sé, ma che possono determinare la morte degli organismi viventi dello stesso corso d’acqua.
Banalmente, anche le reimmissione di un fiume dell’acqua utilizzata per il raffreddamento di un impianto, può provocare un ingente danno ambientale dovuto al cambio di temperatura causato dalle attività di raffreddamento.
In conclusione, sebbene il tema centrale degli ultimi mesi sia la sostenibilità, occorre ricordare che i rischi ambientali sono, e restano, un problema reale e, come tale, va affrontato in tutte le aziende.
Come?
Tramite una attività di audit ambientale da effettuarsi mediante consulenti tecnici esperti del settore che provvederanno a mappare tutti i rischi potenziali presenti ed a suggerire alla azienda le priorità di intervento. Il fine è quello di evitare conteziosi, sanzioni conseguenti e contribuire alla protezione del territorio dove lavoriamo e viviamo.
Natalia Dionisio Savignano
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