Il 28 aprile è la giornata mondiale della salute e della sicurezza sul lavoro, un tema che, soprattutto nell’ultimo anno, ha visto profondi cambiamenti per far fronte alla pandemia.
Il 2020, e purtroppo anche l’inizio del 2021, sono stati fortemente condizionati dall’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del SARS-CoV-2/COVID-19, la quale ha richiesto a tutte le organizzazioni aziendali, indipendentemente dalle dimensioni e dal numero di addetti impiegati, lo sforzo di intraprendere azioni e misure preventive al fine di tutelare i propri lavoratori ed impedire la diffusione del contagio all’interno delle aziende.
Nel seguito del presente articolo verranno in primis analizzati e commentati gli aspetti più rilevanti connessi all’applicazione dei protocolli aziendali anti-contagio sul posto di lavoro, e, in seguito, verranno fatte alcune considerazioni sugli scenari post-pandemia, sempre in riferimento a salute e sicurezza sul lavoro.
Come hanno affrontato il COVID le aziende
Preliminarmente, i datori di lavoro sono stati obbligati a mettere in atto una vera e propria “rivoluzione organizzativa” nelle realtà aziendali e, a tal riguardo, il SPP ha rivestito un ruolo di primaria importanza nel guidare i DL nelle scelte più idonee e nell’individuare strumenti e soluzioni organizzative efficaci, nell’ottica di prevenzione del contagio. Ciò ha effettivamente accresciuto il peso/ruolo delle figure rientranti nel SPP, in modo particolare del RSPP e del MC (ove nominato), come previsto dai Protocolli sottoscritti dal Governo e le Parti Sociali (ultimo aggiornamento del 6 aprile 2021) che hanno rimarcato e rafforzato i loro ruoli consulenziali nei confronti dei DL.
Di fatto, la prosecuzione delle attività lavorative (da marzo 2020 ormai) è stata garantita attraverso la predisposizione di Protocolli aziendali anti-contagio, sviluppati con il supporto del RSPP e MC, che hanno assicurato ai lavoratori adeguati livelli di protezione e la cui mancata attuazione ha comportato in alcuni casi la sospensione delle attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
In primo luogo, i DL hanno ottemperato alle raccomandazioni riportate nei vari Protocolli nazionali realizzando una capillare attività informativa per informare i lavoratori e chiunque entri in Azienda circa le disposizioni delle Autorità, ad esempio consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali, cartellonista e dépliant richiamanti il rispetto delle regole igieniche per contenere la diffusione del virus Sars- Cov-2/COVID-19. D’altro canto, oltre tali azioni prettamente informative, un aspetto delicato, che ha richiesto sforzi maggiori ed interventi atti a contrastare la diffusione del COVID-19, ha riguardato senza dubbio la regolamentazione delle modalità di ingresso in Azienda di fornitori e visitatori, oltre che del proprio personale: si pensi ad esempio all’introduzione di termoscanner negli accessi aziendali per la rilevazione della temperatura, strumenti utili di prevenzione del contagio che hanno comportato degli investimenti imprevisti da parte delle aziende.
Proseguendo nell’illustrare la gestione dell’emergenza sanitaria all’interno dei luoghi di lavoro, oltre alle precedenti considerazioni, va sottolineato che la pandemia da COVID-19, sta avendo ripercussioni significative soprattutto nella gestione delle attività lavorative negli ambienti lavorativi e nelle aree ad uso comune. Su tale aspetto, con il fine di ridurre la diffusione del contagio, nella gran parte delle organizzazioni aziendali è stato necessario intervenire adottando soluzioni organizzative straordinarie, come la riorganizzazione degli spazi all’interno degli uffici oppure la predisposizione di barriere in plexiglas tra le postazioni da lavoro.
Certamente, al di là di ogni azione volta a ridurre il rischio contagio, non vi è alcun dubbio che l’evento pandemico abbia necessariamente comportato una rivisitazione del concetto di lavoro agile, largamente adottato dalle aziende in questa fase; invero, la particolare situazione di emergenza sanitaria in cui ci troviamo ha spinto il Governo a prevedere forme di incentivo, innanzitutto dal punto di vista normativo, per ogni forma di lavoro che, per le modalità di svolgimento, limiti i contatti interpersonali e, di conseguenza, possa contribuire alla diminuzione del rischio del contagio. Non stupisce, quindi, che lo smart working sia stato individuato come la tipologia di lavoro per eccellenza in questo periodo e più volte raccomandata all’interno dei Protocolli condivisi. Più in generale, sin dal D.P.C.M.[1] del 8 marzo 2020, è stato fortemente incentivato il lavoro “agile” prevedendo che si possa ricorrere allo stesso anche in assenza di un accordo tra le parti e che gli obblighi di informativa in materia di SSL, pur sussistenti, possono essere assolti in via telematica[2].
Un ulteriore nodo problematico che ha contraddistinto questo periodo è stata la gestione dei casi positivi e dei “contatti” all’interno delle aziende; a tal riguardo, la presenza di “casi COVID” e la necessità di individuare i contatti stretti ha rappresentato una delle attività cruciali, nelle quali è andata rafforzandosi la collaborazione fra aziende, servizi di prevenzione e protezione e medici competenti. Con riferimento al rientro in azienda di lavoratori dopo assenze legate a COVID-19, si è assistito alla sovrapposizione di norme e provvedimenti varia natura che non sempre hanno viaggiato in armonia: il punto fermo dovrebbe essere la stretta collaborazione fra medico competente e azienda, con un contatto e un dialogo trasparente fra lavoratore, suo medico curante e medico competente.
Concludendo, la pandemia in corso ha rappresentato, oltre che per la totalità dei cittadini, un momento complesso per le aziende che, oltre a dover gestire nella maggior parte dei casi le ripercussioni economiche, si sono trovate a far fronte alla necessità di tutelare i propri lavoratori sul piano della salute con riferimento ad un rischio fino ad ora mai preso in considerazione e con tutte le difficoltà e criticità che ne sono conseguite.
Ciò ha posto anche il sistema della salute e sicurezza sul lavoro di fronte a sfide nuove, legate alla natura peculiare del rischio da gestire ed alla necessità di adattare e per certi versi ripensare gli strumenti a disposizione, di cui alcuni interventi sono destinati ad esaurire i loro effetti con la fine dell’emergenza mentre altri potrebbero tramutarsi in adeguamenti definitivi.
[1] Attraverso l’articolo 2, comma 1, lettera r), del D.P.C.M. 8 marzo 2020, con previsione confermata dal successivo D.P.C.M. 11 marzo 2020 e dai successivi ancora.
[2] La legge n° 81/2017 ha istituito e regolamentato il lavoro agile, preliminarmente all’emergenza sanitaria attuale. Secondo tale disposizione per adottare il lavoro agile nella propria realtà aziendale bisogna preliminarmente stabilire un Accordo tra le parti oltre a consegnare al dipendente e al RLS un’informativa scritta in materia di SSL.
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